fabio capello

« Older   Newer »
  Share  
Ñi¢Ø gïLÆ®Ðî
view post Posted on 12/1/2011, 13:48     +1   -1




PROLOGO
La storia che Fabio Capello ama raccontare da una vita è quella del famoso "non passaggio" al Milan. Vero che poi ci sarebbe arrivato sulla soglia dei trent'anni, a vestire i colori rossoneri, ma quella volta, quando venne a cercarlo Gipo Viani in persona, lui era appena un ragazzino. Giocava a Pieris, il paese natale. La sua giornata era fatta di casa, scuola e pallone. Insomma, il ragazzo doveva saperci fare se il grande Gipo si mosse personalmente fino a quel paese lontano dai riflettori del grande calcio. E nella casa dei Capello, a Pieris, si sedette a un tavolo davanti a un bicchiere di rosso forte, di fronte a papà Guerrino, maestro elementare. Che gli fece capire senza troppi giri di parole che questa volta era arrivato secondo. «Mi dispiace», allargò le braccia il maestro, «ho già dato la mia parola alla Spal».
Abbastanza, per fermare Viani? Nemmeno a parlarne. Si discute, ma il maestro resta fermo come un palo di fronte all'uomo che ha costruito il primo Milan europeo. E Viani sbotta. «Insomma, faccia qualcosa, dica a Mazza che quel giorno era confuso, che non era in sé. Inventi una scusa, dica che aveva bevuto». Fine delle trasmissioni. Il maestro si alza e gentilmente, ma con fermezza, accompagna l'ospite alla porta. «Ho dato la mia parola. La mia parola». Storia semplice e genuina, che colora a tinte forti l'infanzia e la giovinezza di Fabio Capello, e ne porta a vista le radici. Storia di benedetta testardaggine e di giustificato orgoglio, quelli che il maestro Guerrino ha trasmesso a questo figlio che poi di strada nel calcio ne ha fatta parecchia, da giocatore e da tecnico.

image
ALLA CORTE DEL MAGO
La Roma è nelle mani del "mago di Turi", al secolo Oronzo Pugliese, tecnico che nel bene e nel male non passa inosservato.
Parte forte in campionato, ma presto ridimensiona i sogni di gloria e chiude la stagione all'undicesimo posto. In quel primo anno capitolino, Capello è ancora alle prese con i problemi fisici e tocca il campo soltanto undici volte. Nell'estate successiva la voglia di grandezza dei tifosi giallorossi sembra autorizzata dall'arrivo di un altro Mago, questa volta quello con la "m" maiuscola.
Helenio Herrera dà fiducia a Capello, ne fa il perno della squadra che ruota interamente intorno a lui.
«Come calciatore» ricorda da sempre il nostro, «devo molto a Herrera. Lui ha creduto in me, mi ha insegnato tante cose e mi ha fatto maturare tatticamente. Penso sia stato il più grande allenatore mai venuto in Italia, quello che ha fatto maturare il nostro calcio».
In campionato la Roma non va oltre l'ottavo posto, ma trionfa in Coppa Italia anche grazie alla doppietta che Fabio segna nell'ultima partita del girone finale, contro il Foggia. È destino che sia una Roma che sorride in Coppa, visto che anche la stagione successiva regala un GLI ANNI DELLA SIGNORA
Di esperienza, quando arriva in bianconero, Fabio Capello ne ha già accumulata parecchia. Ha appena superato (a 24 anni) il traguardo delle cento partite giocate in Serie A.
La Juve ha appena fatto una rivoluzione tecnica: nuovo l'allenatore, Armando Picchi, nuovo il general manager, Italo Allodi, rinnovato anche il gruppo con gli inesti di Capello, Causio, Bettega, Spinosi.
La firma del cambiamento è quella di Giampiero Boniperti. Capello ha colpito lo staff bianconero per la semplicità del gioco, l'intelligenza tattica, oltre che per la spiccata propensione al gol. Alla Juve diventa, come lo era stato nella Roma, il fulcro del gioco prodotto dalla squadra di Picchi, portato via da un tragico destino proprio alla prima esperienza su una panchina importante. L'eredità è raccolta da Cestmir Vyckpalek, «grande psicologo» come lo definirà in seguito Capello.
Perde in finale la Coppa Uefa contro il Leeds, ma dimostra una nuova maturità nell'affrontare le ribalte europee, da sempre terreno ostico per la Signora.
In bianconero, il talento di Pieris resta sei stagioni filate. Vince tre scudetti, gioca e perde un'altra finale europea, ancora più grande e importante: quella di Coppa Campioni, nel '73 contro l'Ajax. Ma la Juve non gli regala soltanto ricordi amari. LA SCOPERTA DI MILANO
Nell'estate del '76, Boniperti chiama Giovanni Trapattoni sulla panchina della Juve. E il nuovo tecnico ha idee chiare e precise. Pretende un centro-campista di nerbo, più che di qualità. Lo scambio col Milan, Capello per Benetti, gli sembra la quadratura del cerchio. È l'ultimo trasferimento. Fabio Capello, nel Milan di Rivera, vive due stagioni da titolare, e vince subito una Coppa Italia. Poi, lentamente, la sua stella si spegne. Colpa dei problemi fisici, soprattutto, che gli tolgono la maglia da titolare proprio nell'anno in cui conquista lo scudetto della stella. Otto presenze in quella stagione, tre nella successiva. Siamo alla primavera dell'80: Fabio Capello, uomo e giocatore di grande intelligenza, si rende conto di essere arrivato al capolinea. GLI INIZI
Un passo indietro. Fino al giugno del '46, fino a un'estate lontana nel sole secco e radente del Nord. Pieris è un paese di pianura, in provincia di Gorizia ma a metà strada tra trieste e Udine. Un posto di confine.
Quelli del posto sono chiamati "bisiachi", perché sono strizzati in mezzo a due fiumi, l'Isonzo e il Tagliamento. Da "bis aquae", che significa letteralmente tra le due acque. Gente abituata a stare in equlibrio, a camminare sul filo dei sacrifici, vivendo a metà strada tra montagna e mare, tra la cultura contadina del profondo Friuli e quella mercantile di Trieste.
In mezzo, e sulla linea, anche geografica-mente: tra cultura latina, tedesca e slava. Una terra di confine, o meglio di frontiera. Lì cresce il talento del piccolo Fabio. Nel Pieris, la squadra per cui ha giocato, all'epoca in Serie C, anche papà. Il ragazzo ha appena sedici anni quando Paolo Mazza, mago del calciomercato e mecenate della Spal, gli mette gli occhi addosso.
Mazza è reduce dall'infausta avventura ai Mondiali '62 in Cile, dove ha ricoperto il ruolo di commissario tecnico azzurro insieme a Ferrari.
Bussa alla porta di papà Guerrino un attimo prima di Viani, come si è detto.
E il maestro ha una parola sola. Fabio va alla Spal e nelle casse del Pieris finiscono due milioni. Un anno nella Primavera di GB Fabbri, e finalmente il debutto in Serie A, nella stagione '63-64. Quattro partite in tutto, tra un'interrogazione e l'altra all'istituto per geometri.
Quell'anno la Spal finisce in Serie B, ma Mazza la fortifica per l'immediata risalita. E quando, nella stagione '65-66, i biancazzurri si riaffacciano sulle grandi ribalte del calcio italiano, Capello è già un punto di riferimento del centrocampo. Talmente sicuro di sé ed equilibrato da essere promosso, a diciannove anni, rigorista della squadra. Non è una Spal fatta di grandi nomi, ci sono i giovani Capello e Reja, c'è la "chioccia" Bagnoli.
Un gruppo concreto, quello che occorre per raggiungere la salvezza. La stagione successiva è piena di tribolazioni: Fabio ha un ginocchio ballerino, perde mezza stagione. Senza quel ragazzo che ormai è un pilastro, la struttura cede, e la Spal scivola di nuovo in Serie B. Lui questa volta non ne segue i destini. anonimo undicesimo posto in campionato ma fa sognare il popolo giallo-rosso in Coppa Coppe: la squadra arriva alla semifinale e solo un sorteggio sfortunato la elimina, a vantaggio dei polacchi del Gornik. È la terza stagione di Fabio nella Capitale. L'ultima. La presidenza della società è passata dalle mani di Evangelisti a quelle di Ranucci e poi di Alvaro Marchini, che ha grandi progetti ma per rifondare decide di liberarsi dei suoi gioielli. Mette sul mercato Spinosi, Landini e Capello, scatenando le ire della piazza. E dello stesso Herrera che, almeno a parole, si oppone alla triplice cessione. Le smentite si moltiplicano, ma alla fine l'affare va in porto. Capello dice addio alla Roma dopo sessantadue partite in campionato, undici in Coppa Italia, otto in Coppa delle Coppe.
Ha lasciato il segno, con la sua classe e il suo modo di stare in campo. «Era un ragioniere del centrocampo», ricorda Fausto Landini, «aveva piedi perfetti e un carattere forte che ne fece un leader da subito, nonostante la giovane età. Scendeva sempre in campo per vincere, e per stimolare i compagni non esitava a discutere con loro durante la partita. Fuori, naturalmente, tornava il ragazzo più tranquillo di questo mondo».Storie di Calcio • email [email protected] Herrera rivestì un grande ruolo nella formazione di CapelloLe prime due maglie di Fabio: quella della Spal e della RomaPassa un treno importante, per il ragazzo di Pieris: lo vuole la Roma, che sta costruendo il futuro attraverso una serie di importanti colpi di mercato. In quella stagione, il '67-68, arrivano il brasiliano Jair, Scaratti e Pelagalli, Giuliano Taccola e un gruppo di giovani speranze: Cordova, Cappellini, Ferrari e, appunto, Capello.È negli anni bianconeri che Capello, con ventisei primavere sulle spalle, agguanta la sua prima maglia azzurra, il 13 maggio del '72 contro il Belgio. Dopo quella, ne arriveranno altre trentuno, soprattutto quella storica del 14 novembre del '73, quando a Wembley l'Italia batte per la prima volta l'Inghilterra nella sua tana. Finisce 1-0 per gli azzurri, e quel gol lo firma Fabio Capello. Dopo, arriverà la grande delusione del Mondiale '74. «Uno dei ricordi più amari della mia carriera. Speravo di vincerlo, anche per dare una gioia ai nostri emigranti in Germania. Una pessima condizione atletica e il peso del pronostico ci misero fuori causa».
La Juve, intanto. Nella sua seconda stagione a Torino, Capello fa il record personale di reti in Serie A, mettendone a segno nove. L'anno dopo vince lo scudetto dello sprint, quello soffiato all'ultima giornata al Milan crollato nella "fatal Verona ". Uno sgarbo al mondo rossonero, che è nel futuro.Anastasi e Capello, i due transfughi della JuventusNon vuole chiudere in modo patetico, meglio staccare la spina al momento giusto. Semplicemente, lo fa. Il Milan, d'altra parte, gli offre l'occasione di restare nel mondo del calcio.
Sono in tanti a pensare che possa diventare un ottimo tecnico, a cominciare dal maestro Nils Liedholm, che oggi ha avuto spesso occasione di correggersi. «Gli dissi che sarebbe diventato un grande allenatore. Mi sbagliavo. E diventato il migliore».
Nel '79-80, ultima stagione di Capello giocatore, Liedholm lascia il posto a Giacomini che gli fa giocare gli ultimi venti minuti della carriera all'Olimpico, contro la Lazio. Ricorda, Giacomini: «A fine partita Rivera, Vitali e Felice Colombo vennero a chiedermi un parere sull'ipotesi di trasformarlo in allenatore, favorevole, ovvio».
Ed ebbe ragione... la vita di Fabio Capello come allenatore di successo continua: ora l'eroe di Wembley del 1973 siede proprio sopra la panchina della Nazionale Inglese...
 
Top
0 replies since 12/1/2011, 13:48   34 views
  Share